............. Dall'amore spesso non nasce la musica, ma dalla musica spesso nasce l'amore!....

martedì 2 novembre 2010

Bruce Springsteen a Roma per la prima di "The Promise"


"In molti dei miei dischi racconto la ricerca di un'identità. Ancora oggi non so chi sono. Quando abbiamo registrato Darkness avevo 27 anni ed ero completamente identificato con la musica che facevo e questo è probabilmente il motivo per cui abbiamo lavorato così a lungo. Le domande essenziali che mi ponevo erano: da dove vengo? Che cosa vuol dire essere un figlio? Che cosa vuol dire essere americano? Oggi mi domanderei che cosa vuol dire essere padre? Sono le domande essenziali. Poi si trattava di trovare delle storie e spesso sono le storie che scelgono te e non sei tu a scegliere le storie, in fondo il lavoro del musicista è un po' come riparare".

(Bruce Springsteen)



(la magica serata raccontata da Rockol.it )


L’immagine della serata arriva quando tutto deve ancora cominciare: un manipolo di fan, assiepati lungo le transenne del “Red Carpet” che conduce alla Sala Sinopoli dell’Auditorium di Roma. Sono lì da diverse ore, incuranti della pioggia battente, solo perché Bruce Springsteen percorrerà il tappeto rosso per andare alla prima di "The Promise: The Making of Darkness on the Edge of Town", il film diretto da Thom Zimny sul suo storico album del 1978, ripubblicato il 16 novembre in un lussuoso box zeppo di inediti di cui abbiamo parlato in abbondanza.
Dentro, è quasi il caos: la sala era occupata da un’altra proiezione fino a poco prima – il tutto si svolge all’interno della Festa del Cinema – il pubblico che cerca di entrare si scontra con quello che esce. Appena entrati in sala c’è giusto il tempo di prendere posto, di sentire una breve introduzione e il film inizia. E che film. “The promise” racconta la parabola di Springsteen tra il ’75 e il ’78, dallo smaltimento della sbornia del successo di “Born to run” alle beghe legali con l’ex manager Mike Appel (intervistato per il film, dopo una recente riappacificazione) che gli impedirono di registrare musica, fino al caos creativo che diede vita ad un disco più adulto e scarno.< /br> In sala, sembra di essere ad un concerto: il pubblico applaude le scene, le canzoni e le facce, soprattutto quelle del compianto Danny Federici e dell’amatissimo Clarence Clemons.
Il film scorre via con un ottimo lavoro di costruzione narrativa del regista, che si divide tra interviste recenti e immagini d’epoca recuperate e restaurate. Il finale è da brivido, con un montaggio tra i volti di 32 anni fa e quelli attuali, e con una intensa versione di “Darkness on the edge of town” suonata in un teatro vuoto l’anno scorso (fu suonato tutto il disco, ed è uno dei DVD bonus del box).
Finito il film le luci rimangono spente, mentre gli inservienti portano ben sei sedie: sul palco salgono alcuni giornalisti, Landau, Zimny e, buon ultimo, il boss. Qualcuno, in giornata, ne lamentava il divismo, vistro che non erano previsti incontri con la stampa. Ma i divi sono quelli che la stampa la incontrano, la fanno aspettare per ore, e poi danno risposte elusive a domande precise, senza guardare in faccia chi le fa.
Springsteen non è venuto per la stampa; è una serata cinematografica, cui Springsteen si presta di buon grado: è loquace, risponde in maniera precisa a domande spesso un po’ lunghe (quelle del critico cinematografico di turno). Stravaccato su una poltrona rossa, scherza: “Se ci fossimo accorti all’epoca di come stavamo bene così magri lo avremmo sfruttato di più, mi dice sempre Steve”, riferendosi ovviamente a Little Steven, uno dei veri protagonisti del film. Poi passa a parlare del film.
Come si capisce dalle immagini, ho un carattere ossessivo compulsivo. Volevo fare qualcosa di essenziale con quel disco, e ci voleva pazienza, bisognava saper aspettare; era importante saper catturare il momento giusto quando si presentava, e questo non era sempre facile. Stavo cercando di capire chi sono, ma non so ancora adesso chi sono… La musica per me è uno strumento d’indagine, a cui sono legato in maniera molto profonda. Ero molto confuso, e questo era il mio modo di capire. Siamo tutti addetti alle riparazioni, in qualche modo”.
Prende in giro il suo manager, che risponde in maniera eccessivamente lunga ad una domanda – anche se la traduttrice se la cava benissimo senza perdere una parola. E scherza sull’inclusione nel box di una replica del suo quaderno di appunti – altro protagonista del film: “Nessuno mi ha detto che l’avrebbero usato, se no l’avrei impedito. Scrivo malissimo…”. Poco più di mezz’ora di chiacchiere, ed è tutto finito. Due strette di mano ai fan e una battuta per finire: “La chitarra? La prossima volta, sarà di sicuro più facile cantare….”
Domani, invece, Jon Landau incontrerà i giornalisti – e alcuni nostri fortunati lettori – per presentare in anteprima i contenuti del box, che uscirà il 16 novembre.


2 commenti:

nella ha detto...

Generoso, disponibile, umano , grandioso...come sempre....Avrei voluto vedere un'altra rock-star, arrivare per una serata da New-York a Londra e da Londra a Roma sotto un temporale, fermarsi con i fans, firmare autografi, perfino su di una chitarra, rispondere con infinita pazienza alle solite domande , a volte, scontate dei giornalisti. Come scrive Ermanno LaBianca..." Una persona che ha creato cose che ci rimangono sulla pelle per sempre!"......

Gianluca Pace ha detto...

grande boss!!

http://www.nonameradioroma.blogspot.com/

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 3.0 Italia.